Finalmente anche la Sapienza ha attivato la carriera alias, grazie all’azione del coordinamento universitario Link Sapienza e del collettivo Prisma. Ne parliamo con Susanna Chiulli e Andrea Monaco.
Quali sono stati i passaggi che hanno portato all’approvazione della carriera alias? Quanto ci avete messo?
Quando il collettivo Prisma lgbtqia+ si è formato, un anno e mezzo fa, il doppio libretto/carriera alias era già una delle nostre priorità essendo una misura fondamentale per il benessere delle studentesse e degli studenti trans* all’interno dell’università.
Il percorso vero e proprio è partito con un’interrogazione in senato accademico. Abbiamo chiesto l’istituzione di una commissione che varasse le modalità migliori per istituire il doppio libretto/carriera alias alla Sapienza (anche per il fatto che quello che una volta era “il libretto” cartaceo alla sapienza ora è tutto in forma informatica), chiedendo già che l’accesso a questo servizio per le persone trans* non avvenisse obbligatoriamente per certificazione medica esterna, ma per autocertificazione, in quanto la condizione delle persone trans* non è in alcun modo patologica.
La nostra istanza è stata accolta e si è formata questa commissione, composta sia da student* che da professori e personale, che ha iniziato a riunirsi poco prima dell’estate. Abbiamo preso parte alle varie riunioni battendoci sempre affinché il doppio libretto fosse il più possibile accessibile, anche per quelle persone trans* che non hanno intrapreso un percorso di transizione medico-chirurgico per scelta o che si sono trovate impossibilitate a farlo per motivi economici, sanitari o sociali. I lavori sono andati avanti fino a luglio, ma alla seduta del senato in cui doveva essere approvato il tutto ci furono dei dubbi sul tesserino universitario come documento di riconoscimento bastante e valido in sede di esame, e l’approvazione fu rimandata a settembre.
Nei documenti istruttori per la discussione in senato di settembre, il regolamento proposto era ancora fortemente limitante per chi non avesse intrapreso un percorso di transizione medica, per questo abbiamo apportato delle modifiche, in particolare chiedendo la possibilità che la certificazione di richiesta della carriera alias passassero per lo sportello lgbt+ 6 come sei, uno sportello per il benessere delle persone lgbt+ gestito dal dipartimento di psicologia alla Sapienza, presentandole poi alla seduta del senato di ieri [18 settembre 2018], in cui sono state approvate.
Ci potete spiegare meglio il ruolo e l’attività di 6 come sei?
In realtà nel regolamento finale, come è stato approvato ieri, il centro 6 come sei non è esplicitato. Il nostro obbiettivo era però far sì che una qualsiasi realtà di questo tipo, compreso il centro stesso, ovvero uno sportello di consulto per persone lgbt+ su orientamento sessuale e identità di genere, fosse ritenuto bastevole per certificare, ad esempio dopo un semplice colloquio, la necessità della persona di accedere al servizio della carriera alias, senza il bisogno di documenti di una struttura medica che certifichi un percorso di transizione medica già avviato o da avviare.
Come Link ci proponiamo ora di agire sullo sportello in questione, per assicurarci che il processo di “certificazione” sia il più semplice e meno invasivo possibile.
Quali difficoltà avete trovato con i vari organi d’ateneo? Ci sono state resistenze di qualche tipo? Perché un’istituzione non medica e non amministrativa ha bisogno di una diagnosi per concedere una carriera alias?
Non ci sono state resistenze particolarmente forti all’idea della necessità di un doppio libretto per le persone trans*. Invece abbiamo avuto difficoltà a far comprendere chi sono davvero le persone trans*, che una persona trans* non è per forza qualcuno che ha intrapreso una transizione medica di riassegnazione del sesso, che non importa quale sia l’aspetto della persona e che nessuno ha il diritto di giudicare quanto sia trans* o no, quanto sia un uomo o una donna, conta solamente qual è la sua identità di genere, come si sente più a suo agio nel presentarsi, studiare e vivere la sua vita, conta chi è lei o lui, e a sua volta questo non deve assolutamente influenzare il modo in cui viene trattata e inficiare il suo diritto allo studio e alla serenità durante la sua carriera accademica.
Riteniamo sia proprio questo fraintendimento, purtroppo piuttosto comune, ancora escludente ed oppressiva verso le persone trans* ed lgbtqia+ in genere, che spinge un’istituzione come l’università a pensare che l’essere trans* sia qualcosa di legato ad una diagnosi, e non una questione di come la persona si identifichi e di come vediamo e percepiamo i generi in questa società o che ritenga che ci sarebbe una qualche facilità o utilità nel mentire per avere accesso alla carriera alias tanto da pretendere certificazioni esterne di un bisogno quale essere chiamato\a con un nome che rispecchi la nostra identità.
Per fortuna questo passo in avanti ci dimostra come con la un lavoro e una lotta politica costanti, si possano ottenere cambiamenti culturali che vadano realmente a toccare la vita delle persone trans*, a ledere quel sistema che le opprime insieme alle tante altre soggettività svantaggiate e subalterne; ora che anche l’OMS ha rimosso la transessualità dall’elenco dei disturbi mentali, non si potrà che continuare a lottare per la liberazione di tutte e tutti.